Eccoci, il vero e proprio “Primo Mercatino della Nostra Vita” è passato.
L’evento in sé è stato un super successo, stracolmo di gente. Bello il posto, l’allestimento, il senso postindustriale newyorkese che a me che sono provinciale piacerà anche fra 50 anni, la musica (soprattutto il primo giorno).
Abbiamo avuto tanti complimenti, e gridolini, e sorrisi e ringraziamenti e anche se è difficile ricordare precisamente chi ha detto cosa, sono tutti qui ora, sul divano dove decantiamo la fatica.
A questo punto, un secondo dopo la fine dell’inizio, cosa possiamo dire di questo “tentativo di rendere abbordabile e usabile il meraviglioso design della cartoleria americana”? Al banco com’è ovvio si avvicinano perlopiù donne, con una certa sequenza standard di espressioni: prima stringono gli occhi (cos’è sta roba?), poi li allargano (però questi colori sono bellissimi), poi cominciano a sorridere (ehi sono contenta come una bambina!).
Non sono ancora riuscita ad andare a fondo delle ragioni del tipo di gioia che queste cose di carta danno, per ora so questo: qualcosa c’entra con la felicità dei bambini. E si scatena in tante: non tutte certo, ma tante. Mi piacerebbe capire come, perché, cosa succede ai neuroni: ci vorrebbe una TAC quando si scopre una nuova collezione, un bravo neurologo o un bravo psichiatra.
Insomma dobbiamo capire meglio: ci tocca andare avanti.
E per la seconda volta vi saluto con un Beckett d’antan:
Non posso continuare.
Continuerò.
La ricerca è piu importante della scoperta.