Quando paperness era ancora un’idea grezza arrivarono a casa mia alcuni cartoni da questo brand americano che avevamo spulciato per bene, in mezzo all’offering principale di prodotti per bambini, fino a individuare qulalcosa di originale e pastelloso abbastanza per la nostra idea di negozio.

Quell’estate, a negozio aperto da poco, fu quella del glorioso viaggio negli USA. Al bookstore del MOMA trovai in vendita lo stesso brand e ora, 4 anni e varie consapevolezze dopo, il moto d’orgoglio di aver scelto quello che aveva scelto il MOMA ancora perdura.

Ce l’abbiamo fatta a farli arrivare, anche questa volta.

Potreste legittimamente pensare ‘che ci vorrà mai?’, e ho deciso di raccontarvi la storia. Una scusa come un’altra per scorrere queste foto e portarvi un po’ di benessere.

Più di un anno fa mi dissero che non erano più ‘autorizzati’ a spedire fuori dagli USA e mi dirottarono su una esterna manager delle esportazioni. Composi l’ordine, attesi tempi biblici e lemme lemme la famosa manager presentò un costo di spedizione di quasi 2000 dollari. Risposi che forse intendeva spedirli in business class portati a mano da una testimonial famosa, ma ce ci sarebbero bastati dei banali cartoni in stiva.

Passarono mesi a questionare, fino a fine dell’anno scorso quando emerse l’escamotage a questo pazzo accordo commerciale che impedisce al brand di vendere all’estero: se avessi mandato qualcuno io a ritirare sul posto, territorio americano, loro avrebbero consegnato i pacchi.

Con la tigna che ogni tanto riesco a mettere in campo mi sono messa a costruire una posizione con un noto spedizioniere internazionale, che avrei potuto mandare all’indirizzo xx a ritirare qualcosa per me.

Ci sono volute settimane, di fax e comunicazioni vintage diciamo, e poi l’account è stato creato.

Ho fatto l’ordine a quel punto, semplice no?

Per un po’ ho atteso con pazienza, un certo prodotto sarebbe stato rifornito 3 settimane dopo. Che sono 3 settimane dopo aver atteso più di un anno?

Sono passate, ho chiesto aggiornamenti.

A periodi la mia interlocutrice scompare. Secondo me si perde fra i colori e rimane ipnotizzata invece che smarcare le email.

Quando ricompare le chiedo se posso avere misure e peso dei miei pacchi per farmi fare una quotazione del servizio di ritiro e spedizione dal mio corriere personale.

E qui la faccenda si è incartata di brutto.

Loro non avrebbe preparato i pacchi se io non avessi pagato.

Io non volevo acquistare se non avessi avuto la certezza che la spedizione costasse effettivamente meno dei 2000 euro folli della loro quotazione dell’anno passato.

Passa più di un mese, io torno alla carica e mi dicono: ma perché non acquisti dal nostro distributore francese?

Il distributore in Europa salta fuori dal cappello dopo più di un anno di questionamenti, la faccenda è quantomeno sospetta.

Dico: benissimo, Ha i prodotti che ho ordinato? Quando può spedire?

Nessuna risposta. Lei scompare di nuovo.

Io a quel punto non ci penso pù, mi pare evidente che la cosa non s’ha da fare. Resto preoccupata, perché in questi 4 anni un altro fornitore di confezioni originali e di buona qualità di penne gel per amanti di agende e diari non lo abbiamo individuato.

Abbiamo avuto la Marvy Uchida a lungo, fino a portarla ad esaurimento.

Non c’è più stata la fiera di Francoforte, per ovvi motivi.

Passano le settimane e ogni tanto, all’improvviso, mi assale la domanda angosciosa: con le penne come facciamo?

Un giorno mi sale il fumo e scrivo, voglio che dichiariate esplicitamente che del nostro ordine non vi importa nulla.

Devono essere state delle parole magiche, segnatevele.

Qualche ora dopo avevo le misure e il peso dei cartoni, quasi subito dopo la quotazione dei costi di spedizione dal corriere. Entro mezza giornata da quella mail ho dato mandato di procedere e esattamente 4 giorni dopo…..le penne ci sono state consegnate a casa.

Nessun pacco perso in giro, come quelli della consegna super standard di carte dallo Utah, che sono andati ognuno per i fatti suoi e uno dopo 15 giorni ancora manca all’appello (stamane lo danno a Fiumicino, boh).

Vi ho raccontato un po’ i casini che ci stanno dietro la balzana idea di commerciare prodotti dall’estero.

Deve essere una mia perversione comunque.
Al momento sto monitorando le vicissitudini di pacchi da:

  • Giappone – fermi in un aereoporto internazionale da una settimana
  • Francia – vicino ma non si sa dove sono
  • Australia – prima volta che ci avventuriamo, chi lo sa
  • stamane, tanto per divertirmi, sono riuscita a fare un ordine alla Flow. Ci sarà da divertirsi.

Secondo voi, vale la pena tutto questo stress?

Io mi lamento, ma poi, ogni volta, quando apro i pacchi e penso alle stories che vi farò mi dico: altroché!